Impatto del COVID-19 sui rifugiati siriani anziani in Libano
Uno studio rivela rischi per la salute aumentati per i rifugiati siriani durante la pandemia.
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Indice
La pandemia di COVID-19 ha colpito la salute pubblica a livello globale, soprattutto tra i gruppi vulnerabili come i Rifugiati. Questa situazione ha messo in evidenza quanto sia importante prestare attenzione alla salute e al benessere di tutti, in particolare delle comunità emarginate.
A dicembre 2023, il COVID-19 ha causato oltre 772 milioni di casi confermati in tutto il mondo e quasi 7 milioni di morti. I paesi a basso reddito hanno sofferto di più, con una mortalità quattro volte più alta rispetto alle nazioni più ricche. Questa disparità significa che affrontare queste differenze sanitarie sarà fondamentale per le risposte future a pandemie.
I rifugiati sono particolarmente vulnerabili durante queste crisi sanitarie. Molti si trovano in condizioni di vita sovraffollate, mancano di materiali igienici, hanno accesso limitato alla Sanità e affrontano barriere culturali o linguistiche. I rifugiati più anziani spesso hanno condizioni di salute preesistenti, aumentando il loro rischio di malattie gravi legate al COVID-19.
Nonostante il riconoscimento del rischio maggiore, le organizzazioni umanitarie hanno faticato a fornire aiuti a causa dei rigidi lockdown che hanno limitato le loro operazioni. L'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha riportato un significativo divario di finanziamento nelle iniziative di prevenzione del COVID-19 per le popolazioni di rifugiati. Questa mancanza ha significato che molti rifugiati non potevano auto-isolarsi, aumentando la loro esposizione al virus.
In Libano, dove il numero di rifugiati è particolarmente alto, le condizioni sono peggiorate a causa di molteplici crisi. Molti siriani sono stati costretti a tornare nel loro paese d'origine, creando un clima di paura per coloro che sono ancora in Libano. Questa instabilità ha influito negativamente sulle condizioni di vita, rendendo i rifugiati più vulnerabili all'infezione. I tassi di test in questo gruppo demografico rimangono bassi, principalmente a causa dei costi.
Identificare coloro che sono a maggior rischio di malattie infettive all'interno delle popolazioni vulnerabili è cruciale per le future emergenze sanitarie. Creare modelli per prevedere i rischi di infezione da COVID-19 tra i rifugiati può aiutare le organizzazioni umanitarie a indirizzare meglio il loro aiuto.
Studi precedenti, condotti principalmente negli Stati Uniti, hanno identificato diversi fattori correlati al rischio di infezione da COVID-19, come età, genere, livello d'istruzione, stato civile, condizioni abitative e presenza di malattie croniche. Tuttavia, pochi modelli previsivi si sono concentrati su fattori che influenzano i rifugiati o gli anziani nella regione MENA.
Per colmare questa lacuna, è stato condotto uno studio mirato sugli anziani rifugiati siriani in Libano per prevedere il loro rischio di infezione da COVID-19 e identificare le barriere ai test. Questo studio ha coinvolto valutazioni regolari degli anziani rifugiati siriani per monitorare le loro vulnerabilità nel tempo.
Allestimento dello studio e partecipanti
Lo studio ha coinvolto rifugiati siriani di età pari o superiore a 50 anni provenienti da famiglie che ricevono assistenza da un ONG umanitaria. I ricercatori hanno contattato oltre 17.000 famiglie, con quasi 4.000 partecipanti idonei. Alla fine, circa 2.886 individui hanno completato più sondaggi durante il periodo di studio.
I dati raccolti includevano informazioni demografiche, stato di salute ed esperienze di infezione da COVID-19. I partecipanti hanno fornito informazioni sulle loro condizioni di vita, livello d'istruzione, malattie croniche e accesso alle risorse.
Risultati chiave
Tra i partecipanti, circa il 9,8% ha riportato di aver contratto il COVID-19. Diversi fattori erano collegati a un rischio più elevato di infezione, tra cui vivere al di fuori di insediamenti informali, avere un livello d'istruzione più elevato, Condizioni croniche multiple e bisogni non soddisfatti per acqua e gestione dei rifiuti.
Curiosamente, mentre un'istruzione superiore di solito indica migliori risultati di salute, in questo contesto era associata a un aumento del rischio di COVID-19. Questo potrebbe essere dovuto al fatto che individui istruiti lavorano in lavori che richiedono più interazioni sociali, esponendoli al virus.
Lo studio ha identificato che molti partecipanti cercavano assistenza sanitaria e usavano rimedi tradizionali durante le loro infezioni da COVID-19. La maggior parte è rimasta a casa durante la malattia, con molti che hanno riportato di aver rispettato le misure preventive. Tuttavia, quasi la metà di coloro che sono stati infettati non si è sottoposta al test, spesso citando che non si sentivano di fare il test o non potevano permetterselo.
Barriere ai test
Il test per il COVID-19 è stato una preoccupazione principale tra i partecipanti. Le principali ragioni per non essere testati includevano una mancanza di necessità percepita o vincoli finanziari. Molti credevano che, se mostrassero sintomi, probabilmente avessero il virus e non sentivano la necessità di una diagnosi formale.
Altre barriere includevano stigma e paura di deportazione, che hanno impedito ad alcuni rifugiati di accedere ai centri di test. Nonostante queste barriere, c'è un bisogno critico di migliorare l'accesso ai test, poiché molti si sono rivolti ai fornitori di assistenza sanitaria o alle farmacie quando hanno mostrato sintomi.
Implicazioni per le risposte future
Mentre il mondo si prepara per future pandemie, comprendere i fattori predittivi del rischio di infezione tra i rifugiati può guidare le risposte sanitarie. In questo caso, sono stati identificati sei fattori predittivi chiave: residenza, istruzione, condizioni di salute croniche, assistenza economica, insicurezza idrica e bisogni non soddisfatti nella gestione dei rifiuti.
Questi risultati sottolineano la necessità per le organizzazioni umanitarie di migliorare la loro outreach e supporto ai rifugiati, specialmente a quelli che vivono al di fuori di contesti informali. Questo potrebbe comportare l'espansione dei programmi di assistenza economica, la fornitura di kit igienici e l'assicurazione dell'accesso a screening sanitari.
Conclusione
La pandemia di COVID-19 ha colpito in modo sproporzionato gli anziani rifugiati siriani in Libano, rivelando vulnerabilità chiave che devono essere affrontate. Lo studio ha identificato diversi fattori di rischio associati all'infezione da COVID-19, evidenziando l'importanza dei determinanti sociali sui risultati sanitari.
Inoltre, migliorare la consapevolezza sui test e aumentare l'accesso ai servizi sanitari è essenziale. Questo studio serve come base per future ricerche mirate a proteggere le popolazioni vulnerabili durante le crisi sanitarie.
Le informazioni derivate da questo studio potrebbero aiutare le organizzazioni umanitarie a progettare interventi meglio mirati per limitare la diffusione delle infezioni nelle popolazioni di rifugiati, migliorando infine i risultati di salute e riducendo la sofferenza.
Riconoscendo e affrontando questi fattori di rischio, le organizzazioni possono fare progressi significativi nella salvaguardia della salute dei rifugiati e nella preparazione a future sfide per la salute pubblica.
Titolo: Predicting COVID-19 Infection Among Older Syrian Refugees in Lebanon: A Multi-Wave Survey
Estratto: BackgroundOlder refugees, exposed to a cluster of biological and social vulnerabilities, are more susceptible to COVID-19 infection and its complications. This study developed and internally validated a predictive model estimating COVID-19 infection risk among older Syrian refugees in Lebanon. Additionally, it described the barriers to PCR testing among those who reported a COVID-19 infection. MethodsThis was a cross-sectional analysis of a five-wave longitudinal study conducted between September 2020 and March 2022. Syrian refugees aged 50 years or older living in households that received assistance from a humanitarian organization were interviewed by phone. Self-reported COVID-19 infection was the outcome of interest. The predictors were identified using adaptive LASSO regression. The model performance and discrimination were presented using the calibration slope and the Area Under the Curve. FindingsOf 2,886 participants (median [IQR] age: 56[52-62]; 52.9% males), 283 individuals (9.8%) reported a COVID-19 infection at least once. Six predictors for COVID-19 infection were identified: living outside informal tented settlements, having elementary and preparatory education or above, having chronic conditions, not receiving cash assistance, being water insecure and having unmet waste management needs. The model had moderate discrimination and good calibration. Nearly half of the cases were diagnosed through PCR testing. The main reasons for not testing were perception that the tests were unnecessary (n=91[63.6%]) or inability to afford them (n=46[32.2%]). InterpretationHigh-risk individuals should be targeted based on predictive models incorporating social determinants. Implementing awareness campaigns, screening measures, and cash assistance may reduce vulnerability in future pandemics. FundingELRHAs Research for Health in Humanitarian Crisis Programme and AUB University Research Board. Research in contextO_ST_ABSEvidence before the studyC_ST_ABSA literature search was conducted in the databases PubMed and Google Scholar for studies published between February 1, 2020, and June 14, 2022, with the objective of developing a predictive model or examining the associated factors of COVID-19 infection among older adults or refugees. Different combinations of the following keywords were used in our research: "COVID-19 infection", "SARS-CoV-2", "Coronavirus", "predictors", "risk factors", "refugees", "migrants", and "Syrian". Previous evidence has shown that displaced populations are considered vulnerable groups highly susceptible to the impacts of COVID-19, due to their exposure to a combination of biological and psychosocial vulnerabilities. In Lebanon, Syrian refugees face an elevated risk of infection and its complications, mainly due to the deterioration of their living conditions resulting from the multiple crises burdening the country. The literature search featured the following potential predictors: age, gender, educational attainment, marital status, housing conditions, socioeconomic status, and presence of chronic illnesses. However, to date, no studies have developed predictive models of COVID-19 infection focusing on Syrian refugees in the MENA region. Additionally, there has been a scarcity of predictive models incorporating social determinants to assess the risk of infection among refugees or older adults in this context. Hence, identifying individuals who are highly susceptible to COVID-19 infection and its severity amongst vulnerable populations is important to inform better targeting of assistance in future outbreaks and to reduce the risk of infection and its complications. Added value of the studyTo the best of our knowledge, this is the first study that exclusively incorporates social determinants into a prediction model of COVID-19 infection among older Syrian refugees. Out of 2,886 participants, 283 individuals (9.8%) reported experiencing COVID-19 infection at least once. Six predictors of COVID-19 infection among older Syrian refugees were identified: living outside informal tented settlements, having elementary and preparatory education or above, having chronic conditions, not receiving cash assistance, being water insecure and having unmet waste management needs. Despite the efforts and the collaboration between UNHCR, several NGOs and the Lebanese Ministry of Public Health to cover the cost of COVID-19 testing and to raise awareness about COVID-19 symptoms and the necessity of testing, only half of the cases were diagnosed through PCR or lateral flow tests. The main reasons for not testing were perceptions that it was unnecessary or inability to afford the tests. Implications of all the available evidenceThe predictors identified in this study could be used to inform targeting efforts by humanitarian organizations to provide assistance to Syrian refugees at higher risk of COVID-19 infection or infections in future pandemics. In addition, it will be important for humanitarian organisations to continue outreach efforts outside of informal tented settlements into the community to reach the most vulnerable to COVID infection with interventions. Furthermore, intensifying awareness campaigns among Syrian refugees about testing availability and the importance of visiting a healthcare professional, and considering the implementation of free testing in primary healthcare centers and pharmacies will be essential to control infectious diseases in future pandemics.
Autori: Stephen J McCall, B. Abi Zeid, T. El Khoury, S. R. Abdulrahim, H. Ghattas
Ultimo aggiornamento: 2024-01-17 00:00:00
Lingua: English
URL di origine: https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2024.01.17.24301436
Fonte PDF: https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2024.01.17.24301436.full.pdf
Licenza: https://creativecommons.org/licenses/by/4.0/
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